mercoledì, febbraio 01, 2006

Marco scrive

Cari tutti,

provo a dare una mano a Giacomo nella gestione dei dubbi e delle pulsioni creative nate e cresciute negli ultimi giorni. Confido che non se la prenderà.

Primo problema, la definizione di un metodo di lavoro e la restrizione del campo di indagine tramite un’adeguata definizione dei significati delle quattro parole chiave (e dei concetti trasversali). In prima istanza, non posso fare a meno di invitare tutti a inviare le proprie rispettive visioni sulle possibili dicotomie, sui possibili limiti, sulle morfologie incerte dei quattro termini che sono, lo ricordo: uomini, strumenti, corpi, macchine. Onde evitare rincorse inutili tra chi ha accesso alla discussione tramite media più o meno rapidi e chi risolve la questione verbalmente, suggerirei a chi ne ha voglia di inviare quattro belle (e brevi) definizioni, possibilmente documentate da bibliografia (sempre bella e breve). Napoleone muoveva le armate con veline di non più di una riga; noi possiamo fare una rivista con poca carta in più. Questo permetterà forse di recuperare il tempo perduto affiancando la risoluzione delle incertezze epistemologiche alla stesura dei primi abbozzi di contributi richiesti da Giacomo il 19 Gennaio per la settimana entrante.

Ciò che importa è che i lavori si pongano all’incrocio di due termini chiave, in modo da creare un minimo cortocircuito di riferimenti e contribuire a dare una forma più o meno densa alla massa in via di formazione. Per aiutare la visualizzazione, io immagino una semplice griglia bidimensionale creata dagli stessi quattro termini messi in ordinata e in ascissa. La definizione dei rispettivi temi di ricerca e delle accezioni dei termini chiave darà una profondità a questa struttura. Profondità varia e, se osservata da angolazioni diverse, mutevole, che è un modo balzano ma efficace, credo, per descrivere quello che vogliamo fare.

Secondo scoglio (e corollari pragmatistici): Giacomo ha attivato un blog per semplificare la gestione del crescente traffico di email. So che ci sono resistenze tecniche e ideologiche all’uso di questo prodotto del marketing delle grandi aziende di memorie informatiche. Suggerisco però a tutti di frequentarlo e di riversare prima di tutto lì i propri contributi. Si eviterà così di costringere Giacomo a preoccuparsi ogni volta che tutti abbiano ricevuto l’ultima mail di Tizio o Caio e si potrà risalire facilmente all’evoluzione della discussione su un certo tema. Intendete, insomma, il blog come un contenitore in cui ogni pezzo di carta depositato magicamente si archivia ed è facilmente recuperabile. Dovete quindi recuperare la mail di invito al blog inviata da Giacomo e seguire le istruzioni. Dopo la registrazione l’utilizzo del blog sarà più facile della gestione della propria posta elettronica.

Terzo scoglio: il limite di dieci minuti stabilito per la presentazione dei propri progressi al resto del gruppo e ai, si spera numerosi, invitati ha, dal mio punto di vista, un valore etico e professionale altissimo. L’idea, come ricordato da Giacomo, era quella di utilizzare il breve spazio per fornire ai presenti una versione del proprio lavoro totalmente funzionale alle loro ricerche, orientando la piccola presentazione verso l’individuazione di possibili sinergie utili agli altri più che a noi stessi. Si tratterebbe, insomma, di dire in poche parole a chi ci sta intorno che, rispetto al mese precedente, si sono fatte scoperte che possono essere utili a quello o a quell’altro in funzione di un argomento di cui sappiamo che si stanno occupando. Fornire, in modo assolutamente gratuito, un suggerimento: non so quale sia la vostra esperienza accademica, ma mi è capitato di osservare un metodo simile solo una volta. Piuttosto lontano da Bologna, peraltro. I dieci minuti sono poi un utilissimo esercizio di sintesi, dannati umanisti…

A questo punto gli annoiati possono ritirarsi con la coscienza tranquilla. Da qui in poi cercherò di rispondere agli argomenti di Raul e Nicola in merito alla definizione di tecnologia dalla quale dovremmo partire. La distinzione ricordata il 19 Gennaio da Raul, e ripresa dal libro di Pierpaolo Antonello (Nicola, 28 Dicembre), tra techne e techneia è secondo me molto interessante ma anche molto fuorviante rispetto al nostro lavoro. Per due motivi. Uno, il più banale, è che questo tipo di distinzione è nato e si risolve solo all’interno del cosiddetto mondo umanistico. Le scienze matematiche e naturali hanno invece fatto della mancata risoluzione di questa dicotomia la loro forza, senza proclami teorici – e probabilmente anche senza l’applicazione di un pensiero critico adeguato – procedendo a una continua sovrapposizione dei due piani, utili uno allo sviluppo dell’altro. Basterebbe ricordare, ad esempio, la nascita della scienza sperimentale così come la si intende oggi: fu l’esperienza della verifica dei modelli teorici proposti (fase in cui il quoziente di artigianalità è elevatissimo, i grandi scienziati rinascimentali e moderni erano soprattutto grandissimi smanettoni) a suggerire la nascita di una teoria capace di misurarne l’efficacia (teorizzazione) al fine di comprovare la loro validità e passare a una ulteriore fase di teorizzazione e di verifica del modello. Di più, la teoria dei numeri si trovò a dover fornire anche una valutazione dell’errore commesso, sia nella fase di previsione e stima dei risultati sia in quella di misurazione vera e propria. È vero che solo pochissimi fisici, anche tra i più famosi, possono dirsi grandi teorici e grandi sperimentatori, ma questa distinzione è apprezzabile solo all’interno del ristretto mondo scientifico, dove i margini labili sono ben conosciuti e vengono caricati del giusto peso: fuori da questo mondo essi non hanno ragione di esistere e infatti pochi saprebbero distinguere tra i polivalenti Fermi e Einstein, i teoricissimi Heisenberg o Dirac e i numerosi e meno noti sperimentatori con i quali collaboravano…

Di questa mescolanza necessaria tra tecnica e tecnologia, rafforzata peraltro dalle ragioni sociali ed economiche che hanno spinto alle grandi scoperte scientifiche (argomento su cui è meglio non addentrarsi ora) il sapere umanistico sembra non essersi accorto. Questo, a me pare, è solo un aspetto di quel gap tuttora aperto tra il sapere scientifico e quello umanistico che si cerca continuamente di colmare ricorrendo a due distinte metodologie: la creazione di una “metafisica” progressiva delle singole discipline, operazioni come quella di Deleuze che in “La piega” si prova a costruire i castelli necessari alla spiegazione dell’inspiegabile progresso tecnologico partendo da Leibniz; oppure la ridefinizione proditoria e unilaterale dei limiti del sapere scientifico (o dei saperi scientifici), che viene ricacciato entro margini fittizi creati ad hoc sulla base di nozioni arcaiche dello stesso sapere. Il problema, e qui vengo al discorso di Raul, è che entrambe le metodologie, negando la possibilità di confronto e commistione tra i due saperi, impediscono la formazione di un sapere critico e informato sul mondo che ci circonda, così intriso di tecnologia (e quindi di tecnica), quindi la sedimentazione di un sostrato comune di consapevolezza, quindi la possibilità di elaborarlo in modo creativo, quindi infine di fornire alla creazione artistica gli elementi “generativi” che le permettessero

Lette in questo modo, tante esperienze avanguardiste del novecento, a cominciare (non a caso) dal nostro futurismo, rappresentano colossali svarioni interpretativi, tentativi generosi e mai del tutto risolti di afferrare il bandolo di una matassa che intanto si srotola in perfetta autonomia.

Spero di non aver dato un’idea troppo progressiva e consequenziale del problema. Quegli “elementi generativi” mi preoccupano.

Ho sonno e vado a letto.

Buonanotte,

Marco

1 Comments:

Blogger asfidanken said...

Marco mio, grazie mille del contributo. D'ora in poi (dovresti riuscire come me) comviene che pubblichi i post come amministratore, mentre lascerei i commenti ai...commenti. Ho sonno anche io, vado a nanna.

1:10 AM  

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