venerdì, febbraio 10, 2006

Raoul, Pasolini

Caro Giacomo

ho conosciuto ieri sera al Filmmuseum di Monaco Luigi Virgolin, membro del fondo P.P Pasolini di Bologna. Gli ho parlato brevemente della nostra iniziativa, nonché dell´interesse da parte mia/nostra di studiare l´aspetto del corpo nell´universo PPP. Gli ho così chiesto, se in uno dei nostri eventuali incontri sul tema, se la sarebbe sentita di venire a parlarcene: trattandosi di ragazzo serio, giovane e simpatico, ha ovviamente risposto di sì. Per cui conterei, quando sarà il momento, di farlo venire e di coinvolgerlo nella nostra discussione. Devi sapere che da anni si occupa di recuperare i "corpi perduti" del cinema di Pasolini, curando il restauro delle pellicole e il reperimento e la catalogazione di materiali fotografici raccolti in numero biblico da Laura Betti. Ieri sera ci ha mostrato un documentario su un episodio andato perso del Decamerone, povero nella forma (forse un po´troppo artigianale), ma ricchissimo nei contenuti. Per introdurlo, Luigi ha proprio accennato alla passione dell´ultimo Pasolini per la documentazione di corpi in pericolo, minacciati dall´espansione su scala mondiale di un nuovo modello di consumo: tra questi (e l´argomento mi sembra di sorprendente attinenza con il nostro seminario) quelli della città e degli uomini legati alle vecchie culture del popolo, a un sopravvivere in certe parti del mondo (ad es. in Oriente, in Africa) di tradizioni archittetoniche e urbanistiche di tipo sacro, mistico. Insomma, è legittimo pensare che in Pasolini si delineasse sempre più quell´urgenza a descrivere e mettere in risalto corpi che simbolicamente attestassero la fine di un mondo e di un insieme di valori ritenuti (umanisticamente) millenari. Ormai incapace di trattare il corpo (umano, urbano, sociale) come elemento di una dialettica di stampo razionale e/o ideale, ma anche costretto dal suo presente a veder crollare gli utlimi residui di un´umanità archetipica (nei riti del popolo, nel folclore, ecc.), Pasolini accetta e sviluppa il suo lavoro intellettuale come una missione estetica, ai limiti della luttuosità, vale a dire teorizzando non solo un corpo in pericolo (ad es. quello della Trilogia della vita), bensì anche un corpo complice della stessa ideologia che lo minaccia (vedi i carnefici e le vittime di Salò), e perciò non più rinpianto né da rimpiangere. Quello che mi sembra rilevante in tutto ciò, è la rinuncia da parte di un marxista come Pasolini al riscatto della storia: in lui non vi è quel senso dell´attualità che permette, come in Benjamin, di far irrompere con l`uso di immagini dialettiche (anche qui studiando il corpo urbanistico e i segni della sua storia) il passato nel presente, né pertanto - secondo lo stesso principio - di proiettare teologicamente una redenzione del tempo del lotta di classe nel futuro. Insomma, stiamo parlando di un marxista senza fede, di uno storicista senza idoli della storia, di uno junghiano senza archetipi. Una simile posizione, paradossale e apocalittica, non è (non può essere) esistenziale o nichilista. Mi viene da pensare, piuttosto, a quei personaggi della Bibbia, come Isaia o Geremia, che costruiscono e usano la parola contro il potere più grande, denigrando loro stessi e coloro che vorrebbero riscattarli; che si espongono, e che per questo necessitano di un deserto per restare soli e per gridare il loro lamento.
Spero di poter ritornare su questo e su altre cose, non appena sarà possibile. A presto

Raoul