sabato, gennaio 21, 2006

Risposta Raoul 19 Gennaio

come stai? io mi trovo ancora in quel di Monaco, e ci resteró per tutto febbraio e buona parte di marzo. Il lavoro mi assorbe completamente, al solito su piú fronti e su sempre minori guadagni. Come puoi immaginare non saró dei vostri né in febbraio né in marzo, purtroppo. Considerati i limiti impostimi dall´impegno e dalla distanza, propongo due contributi, con scadenza a tempo indeterminato (compatibilmente con il sorgere della rivista, i temi a venire ecc): 1. l´impatto della metropoli (intesa anche come organismo tecnologico e automatico) sui letterati della Jahrhundertwende; 2. il problema di alcune definizioni - di concetto dunque - (vedi le nostre "corpo, macchina") a partire dai nuovi materiali tecnologici (digitali, nanotecnologie, ecc).
A proposito! Ho letto la bozza. Mi sta bene, a parte i dieci minuti previsti per il resumé (quando mai conterró la mia proverbiale logorrea in cosí poco tempo...!) e la stessa pemessa al problema di come definire il nostro campo di ricerca. Su quest´ultima avrei da ridire, perché sono un inguaribile rompiballe quando si tratta di metodo. Sia chiaro, operativamente e´la cosa migliore: si deve pur sempre cominciare da qualcosa... ma e´poi cosí vero che nelle scelte fatte sinora, ci siamo mossi a prescindere da una definizione di cosa sia tecnica o tecnologia? Pensa a come si muove PP Antonello nella sua indagine: sembra non poter fare a meno di quella atavica distinzione (puramente teorica) tra techne e techneia (ars-technicum vs technologia). Dualismi simili condizionano da anni ormai il modo di ricercare, di interrogarsi di tutti coloro, noi compresi, che provano a contribuire originalmente all´indagine umanistica. Ma opposizioni comme questa aiutano a sgomberare il campo senza piú chiedersi criticamente se mai una simile idea di arte o di tecnica abbia davvero riguardato il pennello di Klee, la penna di Valéry o il clarinetto di Gershwin.
Il problema piu´difficile, al contrario, sarebbe rintracciare nel passato, non solo il piu´recente, quegli esempi in cui una simile distinzione non regge o, ancor meglio, non serve a comprendere e gustare il fatto artistico, che e´pur sempre prodotto di una comunicazione, di un sistema di valori e di un orizzonte di aspettative sociale. Come tale esso non puó che ripudiare la gabbietta di qualsiasi dicotomia in cui non si esprima al meglio l´irriducibile modo di operare di una tecnica che e´detta arte e riconosciuta come tale in un contesto o rispetto (dall´esterno) a quel contesto. Essa ha le sue leggi e una sua ragione che appartengono culturalmente, per alteritá, alternanza o addirittura compresenza (pensa a cosa intuivano quei santi di Lotman e Uspenskji in proposito di storia dei modelli culturali) a una stessa comunitá storica. La cosa, certo, si fa piú difficile ma non mancano dei precedenti: su questo terreno si sono giá mossi Jonas (che dallo gnosticismo dell´era cristiana e´passato a studiare bioetica), Millner (che marxisticamente ha di continuo indagato il territorio delle fantasmagorie tecnologiche della borghesia europea), quel geniaccio di Musil (in alcuni di quei micidiali saggetti dove parla di pensiero razioide e di ratio artistica) e il nostro mai abbastanza compianto Ernesto Grassi (che ha speso un´intera esistenza a precisare e rendere piú problematiche le coordinate del pensiero umanistico-classico). Mi sento di dire perció, con pace della nostra coscienza, che un problema di definizione sussiste, resta, e forse e´meglio che continui a restare, previa la dignitá di ció che ostinatamente continuiamo a chiamare o identificare con il nome di scienze umane. L´importante e´ricordarsene e ripartire tutte le volte da un punto critico del discorso, ossia da una revisione quanto piú vasta e rigorosa possibile dei nostri (non solo di noi umanisti dunque) preconcetti, di idee accolte e riprodotte passivamente. Pensa soltanto, e con questa chicca ti lascio, che chiaccherando con un filologo tedesco qui ha Monaco, ho scoperto che il concetto di Heimweh (Nostalgia di casa), ha una radice storico-etimologica legata al mondo delle malattie e della scienza medica tardomedievale, e che in quest´accezione il termine continua a sopravvivere in pieno ´800 (nelle opere di Jakob Berneys) e si conserva persino nel secolo scorso, in un seminario tenuto da Karl Jaspers nel 1930.
Ti saluto caro Giacomo, ti abbraccio e resto come sempre in attesa di tue nuove
Raoul